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Immagine del redattoreSilvio Mancinelli

I muri mentali sulmonesi e mondiali


Che significa elasticità mentale? Non so per voi, ma per me significa cercare di eliminare i vari paletti che ti fanno dire di no. A Sulmona gli esempi sono tanti. La mia città è piena di eventi. Mi piace citare il professor Papponetti quando diceva che è impossibile stare dietro a tutto quello che si fa a Sulmona. In effetti ci sono premi letterali, lirici (almeno fino all’anno scorso), musica di vario tipo, presentazioni di libri, eventi storici, sportivi e pasquali e poi intorno alcune sagre. Certo non tutto è di qualità, ma questo credo valga un po' per tutte le città. Inoltre credo che, soprattutto gli eventi più grandi, debbano farsi in centro e nei luoghi più rappresentativi. All’approssimarsi dell’evento però , le persone cominciano ad alzare la voce, reale o virtuale, sul fatto che la Giostra deturpa la piazza, che la musica fa rumore e poi ci si mettono gli ambulanti che dopo 20 anni criticano ancora l’uscita da piazza Maggiore per un mese e mezzo, su dodici, a causa della Giostra. I cittadini del centro sono persone strane: vogliono stare nella parte storica di Sulmona, ma prima si lamentano che il turismo non c’è, e poi non vogliono rotture di palle, su strade chiuse o bloccate per un evento organizzato. Non basta questo: i paletti, i sulmonesi, li hanno pure su altre questioni, per esempio l’ integrazione. Io credo di essere nato in Italia non per un destino scritto, ma per fortuna. Per cui la terra sulla quale cammino non è di mia proprietà ma di tutti. E dunque cercare di integrare chi viene da noi con i cittadini deve essere una priorità. Anche in questo caso ci sono ostacoli e paletti. Pensare che l’integrazione si faccia solo con un mezzo e non con altri è da miopi. Non capisco infatti come non si voglia far passare l’integrazione attraverso i due strumenti principali: la musica e il calcio. La musica è un linguaggio universale: un basso, una chitarra e una batteria superano ogni idioma. E che dire del calcio? Elemento di riscatto per le popolazioni più povere. E chi è diventato ricco grazie al calcio ha poi aiutato il suo popolo. Per alcuni questi non sono metodi di integrazione. Io ho i miei dubbi. Anzi è proprio una falsità. Ed anche qui ci sono gli ostacoli e i paletti: dire no su cose che altri vogliono fare, e prendersi il diritto di pensare di essere nel giusto e basta, dire no e non trovare neanche un piano B va contro quello che è successo negli anni 90. La caduta del muro di Berlino poteva essere il simbolo della caduta delle differenze tra i popoli, ma anche, secondo me, un modo per rendere un unico popolo o comunità più unito. Dire no, criticare, sono parole che dovrebbero essere sostituite con unità, aiuto, collaborazione. Quelli esposti sono due temi diversi ma in entrambi ci sono muri mentali che dividono. I muri devono crollare, le divisioni divenire unità altrimenti non si va da nessuna parte. Soprattutto in questo secolo nato male e che rischia di finire peggio.


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