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Immagine del redattoreSilvio Mancinelli

Due chiacchiere con Stefano D'Elia

Ciao Stefano è inevitabile cominciare dalla musica, tu non solo fai il dj ma ti occupi di musica a 360 gradi.

Molti fanno le classifiche di fine anno per capire anche in che direzione va la musica internazionale. Se penso a quando mettevo i dischi 10 anni fa ora mi accorgo di come la musica di oggi sia molto diversa. Ti capita di selezionare roba che lo Stefano di 10 anni fa non avrebbe mai messo?

Ma fortunatamente sì, e spero tra dieci anni di non proporre la musica che metto oggi! Crescere ed evolversi è fondamentale, io voglio imparare ogni giorno qualcosa in questa professione e restituire quello che assorbo filtrato attraverso la mia esperienza e il mio gusto personale.

Il pubblico che ascolta è cambiato? Vuole sempre le stesse canzoni oppure è abituato alla novità italiana o straniera?

Purtroppo il pubblico non è solo cambiato, è peggiorato, questo perché la rivoluzione digitale ha permesso anche a chi non vive la musica con un rapporto fisico e viscerale di inserirsi nel mercato dei dj, mi spiego meglio: prima si diventava dj perché si possedevano moltissimi dischi, ora lo si diventa perché si ha un PC e la professione viene interpretata semplicemente come serata in cui si metto solo ed esclusivamente i “pezzoni” (uso questo termine grossolano ma esplicativo), senza costruire un discorso stilistico, senza cercare di inserire elementi nuovi e, perché no, disturbanti. Quando ho iniziato io nell'ambiente alternativo di Pescara c'erano due scuole di pensiero in continua contrapposizione, quella che pretendeva di educare(?) l'ascoltatore e quella populista. Ambedue le scuole di pensiero però con il tempo hanno dimostrato di avere delle criticità; chi pretendeva di educare (parola abbastanza pretenziosa quando ci si muove nel campo dell'intrattenimento) promuoveva in gran parte musica datata, e quando invece inseriva in quel contesto musica recente si trattava comunque di pezzi con un sound datato, facilmente assimilabile con la musica inattuale di cui sopra, insomma un genere di offerta chiusa a ciò che arrivava in tempo reale dal resto del mondo (e anche dall'Italia!), fortemente autoreferenziale e chiusa in sé stessa. L'arrivo di altri operatori (principalmente uno) ha portato alla reiterazione populista di un repertorio sicuro, magari più aperto e includente, ma limitato alla totale mancanza di rischio. Io interpreto la professione in una maniera che si pone in netta antitesi con ambedue le fazioni, che richiede più fatica e che prevede di seguire strade meno battute. Riuscire a fare un dj set senza Blue Monday, Psychokiller, I Just Can't Get Enough, Lust For Life, etc oggigiorno nelle nostre zone sembra impossibile, per me è come lavorare con dei pesi alle caviglie e ai polsi ma è l'unico modo in cui riesco ad esprimermi, lavorando in maniera diversa mancherei di sincerità non solo nei confronti del pubblico, ma anche nei miei. Io provo in continuazione a proporre musica recente (alcune volte nemmeno uscita sul mercato, dato che scrivendo su Rumore posso accedere a dischi nuovi in anteprima), naturalmente appetibile ad un pubblico generalista, che possa spingere al ballo o al divertimento, cercando di ottemperare a quella mission che mi sono imposto di cercare principalmente la novità. Non è per nulla facile, richiede un grande impegno, significa dimenticarsi i classici o per lo meno cercare di proporli sotto nuove vesti che riescano a svecchiarli (cover, remix, mash up). È un lavoro improbo, che richiede attenzione e impegno, oltre che una continua ridefinizione del rapporto con il pubblico, a cui devo dare qualcosa per portarlo sul mio terreno e poi catturarlo. La mia più grande soddisfazione è stata quella di credere in alcuni pezzi che da principio svuotavano la pista, ma che poi, inseriti in un determinato contesto, nel momento giusto, sono diventati dei miei “classici”: penso a Bass Drive dei livornesi Compact Moroboshi, Tuppelo dei Ninos Du Brasil o Boa Babil On dei Babil On Suite, guarda caso tre band italiane. In definitiva, durante una serata fatico il triplo di ogni altro dj in circolazione in queste lande desolate, ma la mia soddisfazione è, appunto, tripla. Ovviamente tutto questo pippone esula da contesti particolari come matrimoni, compleanni, etc, in cui mi attengo alle richieste di chi mi ingaggia.

Dai tuoi post vedo che ti appassiona anche la realtà odierna. Riusciranno le Sardine a far capire alla nostra Italia, che come Nazione, si può dare di più e si può combattere il populismo e il sovranismo, con scelte propositive? Io credo che ci troviamo nel momento politicamente peggiore dal dopo guerra a oggi, abbiamo a che fare con una destra pericolosissima, non solo per le prospettive politiche ed economiche del paese ma anche per quanto riguarda l'incolumità di chi dissente. Diamo per scontate la libertà di parola e i diritti civili, ma l'esempio della Turchia non è molto lontano. Naturalmente anche io ho le mie riserve rispetto alle Sardine, ma queste finiscono in secondo piano dal momento che siamo tutti dalla stessa parte nel combattere personaggi squallidi come Salvini e la Meloni.

Quale è il disco che quest'anno ti ha sorpreso di più? E perchè?

Sono tanti i dischi che mi hanno colpito in positivo, quello che però non riesco a spiegarmi di questa stagione discografica ormai alla fine è come mai No Geography dei Chemical Brothers sia passato completamente inosservato. È un disco pieno di idee, danzereccio senza risultare banale, che si discosta dallo stile dei CB pur mantenendo l'inimitabile marchio di fabbrica. Naturalmente lo propongo in ogni mia serata.

Secondo te nel 2020 la musica può essere considerata uno strumento di speranza e unificazione, oppure sono solo è rappresentata solo da dei file su un pc? Lo sarà fino a quando si cercherà sempre il nuovo, sia che sia rappresentato da un ragazzino con la chitarra elettrica e tanto rumore nella testa, sia che si tratti di una ragazza che scrive rime hip hop taglienti nella sua stanza: in fisica nulla muore, tutto si trasforma, e se ci pensi è passata a miglior vita tanta gente che negli ultimi 50 anni ha detto che il rock è morto, e invece il rock è ancora lì.





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