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Immagine del redattoreSilvio Mancinelli

Due chiacchiere con Antonio Iannamorelli


Antonio il 2 Luglio c'è OpenLobby. Nonostante questo lavoro sia ormai diffuso in Italia, viene ancora legato ai “poteri forti”, alle caste finanziarie, attacchi che provengono soprattutto dai partiti populisti e sovranisti. Ci spieghi bene che tipo di lavoro è?

Tendenzialmente è un lavoro che si fa per i “poteri deboli”. Se un soggetto è già forte di suo non paga un team di professionisti per affiancarlo nelle relazioni pubbliche. Il 2 luglio, come ogni anno, torna openlobby che è la giornata in cui apriamo le porte dell’azienda per raccontare come aiutiamo le imprese a capire la politica, a misurare gli impatti che ha sulle loro dinamiche e a trovare parole e persone giuste per creare un dialogo proficuo.

A che punto è la regolamentazione del lavoro di lobbista? So che l'Italia ancora non vi riconosce a pieno o sbaglio?

Siamo a metà strada. La Camera si è data un regolamento e lo fa rispettare anche sanzionando pesantemente chi prende la cosa alla leggera. Le regole, se ben fatte, proteggono le persone serie e limitano il proliferare di chi invece opera scorrettamente.

Ti sei interessato anche alla fine del monopolio SIAE con l'introduzione di nuovi soggetti pronti a difendere i diritti degli artisti. SIAE mi ha inviato un documento su come gestire gli eventi che prevedono pure artisti di Soundreef. Non credi che liberalizzazione (che io difendo) porti però a danneggiare l'utente? In molti casi c'è più burocrazia e più spese dovendo pagare più soggetti.

Quando ho lavorato sul tema la proposta sul campo era: tutti gli autori sono obbligati a iscriversi a SIAE. Alla fine il decreto legislativo ha detto una cosa diversa. Forse c’è più burocrazia ma la libertà ha sempre un prezzo da pagare.

Nonostante tu sia a Roma stabilmente non perdi d'occhio la nostra città natale. Le tre più grandi battaglie, cioè la conservazione del Punto Nascita, il Tribunale e la centrale di compressione, non credi che siano state impostate male? A me sembra che spesso e volentieri si pongono no solo per avere il compiacimento della piazza, invece di chiedersi il perchè per esempio si vuole chiudere il punto nascita, oppure non ci si chieda come sfruttare la nascita della centrale.

Domanda difficile. Sono tre cose diverse, anche se informate dallo stesso vizio: si parla spesso senza conoscere e si agisce più per cercare consenso nel breve periodo che per risolvere i problemi. Il mio lavoro mi ha insegnato la complessità. E anche io ho delle responsabilità, per la quota di tempo che ho dedicato all’amministrazione della Città, per aver ceduto a tentazioni di ricerca di facile consenso più che ad andare in profondo.

È da un po' che giri l'Italia raccontando il tuo libro: “Caporetto management”. Considerando che il succo essenziale di questo libro sia la comunicazione, non credi che Salvini sia uno che ha capito tutto ciò?

Salvini ha fatto risorgere la Lega dopo la Caporetto di Bossi, Belsito e del Cerchio Magico. L’ha fatto con un tema scudo, l’immigrazione, ha spiegato che le persone non dovevano vergognarsi di manifestare una paura e le ha coinvolte con messaggi semplici attraverso i social. È certamente un esempio di resilienza.

Ultima domanda: da interista, un allenatore che ha il cuore bianconero come Conte, cosa ti porta a pensare?

Non sono un romantico, sotto il profilo calcistico e osservo con un po’ di tenerezza quelle comunità in cui il calcio è vissuto come uno psicodramma: a me piace quando la mia squadra vince e già in passato ci sono stati “juventini” che hanno fatto grandi cose all’Inter e credo che Conte abbia i numeri per fare quello che ad esempio ha già fatto Trapattoni.

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