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  • Immagine del redattoreSilvio Mancinelli

La continuità culturale di Sulmona


È uscito da poco il libro del mio amico Antonio Iannamorelli, “Caporetto Management. La lezione di Armando Diaz per i manager moderni”. Io l'ho comprato su uno store digitale, ma magari riuscirete a beccare proprio l'autore, in qualche città di Italia, a promuoverlo. Il libro parla non solo della sconfitta di Caporetto, che si trasformò in "disfatta" soprattutto per ragioni di tipo "gestionale", in gran parte riconducibili alla comunicazione interna ed esterna. Da quel disastro, però, la classe dirigente italiana seppe riprendersi in maniera sorprendente, nel 1918. "Caporetto management" analizza le scelte in discontinuità fatte dal nuovo comandante dell'Esercito Italiano, Armando Diaz e dal nuovo Governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. L'analisi è condotta in parallelo con la modernità, con l'obiettivo di fornire al lettore alcune "pillole" di efficace crisis management, direttamente mutuando gli esempi dalle misure adottate cento anni fa nella speranza, poi concretizzatasi, di una risurrezione nazionale. La strategia di Diaz e del suo staff viene quindi tradotta in un piccolo manuale di resilienza post-crisi indirizzato ai manager di qualsiasi tipo di organizzazione che dovessero trovarsi nella condizione di affrontare, gestire e superare una difficoltà talmente grande da mettere a rischio la vita dell'organizzazione stessa. La presentazione di questo libro mi porta ad uno spunto. Antonio è un quarantenne che ha trovato il suo posto nel mondo. In questi anni mi sono sempre lamentato della mancanza di continuità culturale con la generazione precedente alla nostra. Alla scomparsa di persone come il professor Papponetti, Antonio Mancini, Pinuccio Di Tommaso, l'avvocato Totò Maiorano e Don Antonino Chiaverini (giusto per citarne alcuni), non ci sono stati rimpiazzi. Non che di cultura non ci sia chi se ne occupa ora. Un esempio per tutti è l'attuale assessore al ramo,Alessandro Bencivenga, che come presidente dell'Archeoclub è stato molto attivo. Ma anche i ragazzi di Sulmonacinema. Ma quello che si è fermato in questa città è sicuramente la produzione di cultura, che poi è la base per avere una città viva, che analizza quello che va e quello che c'è da cambiare, andando oltre i pareri degli onniscienti dei social. I quarantenni sono famosi in questa città solo per il loro immobilismo politico e culturale. Antonio al di là del contenuto dell'opera rompe questa tradizione negativa, sperando che sia di esempio per tutti coloro che, nel proprio campo, hanno una esperienza da volere tramandare. È l'unico modo per rendere una comunità migliore di quella che è.

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